Ho assistito con partecipazione e attenzione al dibattito svoltosi ieri in Senato e alla Camera sulla base dell’informativa che il Ministro Anna Maria Cancellieri ha reso sulle polemiche sollevatesi negli ultimi giorni in merito ad una sua telefonata a Gabriella Fragni. Ne sono stata ripagata e rinfrancata. Ripagata, perché il Ministro ha saputo spiegare e contestualizzare un gesto di affettuosa amicizia personale che aveva dato adito a dubbi di opportunità: dubbi fugati, perché patentemente slegati da ogni effetto pratico o pressione sul corso giudiziario di alcuni membri della famiglia Ligresti. Rinfrancata, perché da sinistra e da destra si è avuta una (purtroppo rara) dimostrazione di senso dello Stato e della persona, con attestati che hanno riconosciuto sia la figura di integerrimo servitore dello Stato dell’ex prefetto Cancellieri sia il fatto che la sua telefonata non ha oltrepassato i limiti imposti dal suo alto ufficio.

In particolare, mi ha colpito l’intervento del capogruppo del Pd Luigi Zanda, che ha saputo riconoscere ambedue queste dimensioni, quella di una storia personale esemplare e quella di un perimetro dell’ufficio di guardasigilli inviolato. Ma dal dibattito svoltosi ho tratto anche – come moltissimi altri ascoltatori e cittadini  ai quali sia capitato di ascoltarlo – una accresciuta, se possibile, consapevolezza di quale sia l’urgenza di porre rimedio e invertire lo stato di degrado e di afflizione che i detenuti italiani devono subire come pena accessoria – però mai comminata da alcun tribunale della Repubblica – per il solo fatto di vivere nelle nostre carceri. Il cui stato – lo ha richiamato da ultimo anche il Presidente Napolitano – è ormai indegno e sotto gli occhi sempre più vigili e perplessi dell’Europa. Questa è una vera questione nazionale. Urgente e drammatica, non solo umanitaria ma sempre più tutta politica. Che chiama alla responsabilità ognuno di noi. In questo senso, il Ministro Cancellieri si è spesa sin dall’inizio del suo mandato con determinazione e quasi ostinazione. Lo dimostra anche il progetto di innovazione e digitalizzazione in fase di elaborazione dal Ministero della Giustizia in collaborazione con la direzione Archivi del nostro Ministero. Un progetto non solo giusto, ma anche meritevole, perché darebbe l’opportunità a molti detenuti di impegnare in qualche modo il loro tempo, spostando l’accento della loro vita in carcere dalla punizione alla rieducazione. Spero davvero, allora, e farò qualunque cosa che posso in questo senso, che il progetto – che è già pronto e attende solo di essere varato – venga presto reso operativo e applicato per quello che compete il ruolo del Mibact.