I RISULTATI DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE: UNA NECESSARIA OCCASIONE DI RIFLESSIONE ANCHE SUL FUTURO

6 06 2016 | Opinioni e interventi

I primi risultati delle elezioni amministrative di domenica evidenziano un’Italia inquieta, anche oltre i sondaggi.

In questi casi, è utile e consigliabile per tutti, ma specialmente per le classi dirigenti in palese crisi e non da oggi, cercare di capire le domande e i messaggi che i cittadini hanno mandato attraverso il loro voto.

Per una volta, soprattutto vista la fase di passaggio che attraversa il sistema politico, mi pare consigliabile abbandonare ogni interpretazione pubblica volta più a convincere gli altri che a capire, più ad essere spesa in propaganda che ad essere messa disposizione del pubblico dibattito nazionale. In questo senso, al momento tre sono le questioni a mio parere più rilevanti su cui occorre interrogarsi: il grande risultato del Movimento 5 Stelle, la performance dei candidati del Centrosinistra e delle liste del PD, ed infine verso quale direzione sta andando l’Italia. Per il primo, mi pare indubitabile che vi sia stata un’affermazione senza se e senza ma dei candidati grillini. Poteva andare diversamente, specie se si considera il fuoco di fila e la messa in evidenza delle loro crescenti difficoltà interne – che aveva funzionato alle europee – ma ciò non è stato. Credo per il combinato disposto di una difficoltà interna dei loro avversari, munita ad una sorta di mutazione genetica del loro profilo almeno amministrativo. Da solo partito di lotta – anche estrema e provocatoria e dirompente – sono stati percepiti dagli italiani come “partito” capace anche di lavorare sulle cose concrete. E quindi come credibile veicolo di ogni rifiuto per gli assetti esistenti. 

Una loro classe dirigente locale si sta facendo avanti, e sarà meglio prenderla sul serio e andare a testarne qualità e tenuta. Senza irrisioni. Perché in questo caso temo, la risata seppellirà non loro bensì i loro avversari.

Per quanto riguarda invece il secondo punto, i candidati del Centrosinistra e del  PD mostrano un certo affanno. Un affanno che ha motivazioni locali – come a Roma – ma è anche in parte generalizzato, che indica dunque una componente nazionale, visto che coinvolge profili assai diversi come a Torino l’ottimo sindaco uscente – sperimentato e conosciuto – Piero Fassino– a cui auguro di cuore una bella e meritata vittoria al ballottaggio – insieme a persone che invece si debbono ancora provare e forse per questo hanno una loro fragilità politica, come Giachetti, che pure è riuscito dalle macerie ad ottenere un riconoscimento personale insperato fino a pochi giorni fa, e Beppe Sala a Milano.

Quello che mi sembra sia mancato da parte del PD è la capacità di amalgamare queste proposte e valorizzarle come segno unitario di innovazione. Un’operazione che necessariamente collettiva e non leaderistica, che riuscirà solo se e quando si costruirà attorno al  premier una nuova classe dirigente, riconosciuta come tale e per questo autonoma nei territori perché autorevole.

Al momento ciò non mi sembra, e dunque ne risentono i candidati, e ne soffre assai il voto di lista, perché facilmente polarizzabile – in modo pericoloso, nel paese dei mille campanili – come scusa contro la proposta politica nazionale del premier, che essendo innovativa deve evitare di coalizzare contro di sé tutti i contrari e i conservatori, in Italia da sempre in maggioranza.

Due lezioni da tenere a mente – la necessità di costruire una nuova classe dirigente e di spersonalizzare la proposta politica – se si vuole vincere il prossimo e decisivo referendum sulla riforma costituzionale.

Un referendum nel quale l’Italia si gioca molto, ed è per questo molto tenuto d’occhio anche dagli altri paesi, come un Brexit in salsa mediterranea.