Quando arrivò il Ministro Franceschini, oramai più di due anni fa, mi sono subito chiesta quale sarebbe stato il suo atteggiamento verso la valorizzazione. Ero reduce dall’esperienza di Sottosegretario con un Ministro come Massimo Bray che stimo molto per la sua cultura e competenza ma con una visione del ruolo dello Stato nella valorizzazione diversa dalla mia, in particolare sulla questione dell’apporto e della condivisione da parte del settore privato. E quando dico privato non intendo certo – come forse temono coloro che sono in disaccordo – una svendita a ricchi magnati del nostro patrimonio storico-artistico per feste e usi privati, bensì la cura e le risorse specifiche che vi possono immettere mecenati e organizzazioni come il FAI, da cui appunto venivo.  

Dopo un po’, il ministro mise sul tavolo la proposta di un ArtBonus. In pratica, una seria defiscalizzazione di ogni contributo che andasse a donazioni in cultura. Colsi subito l’intento e soprattutto la svolta culturale, e ne fui rinfrancata. Mi colpì anche, lo debbo dire, il lavoro serio e quasi ostinato che il Ministro fece con il Ministero del Tesoro per ottenere i necessari contributi e via libera, che chi ha avuto mai nella vita funzioni di governo sa essere più difficile che far passare un cammello dalla cruna di un ago. Però, altrettanto sinceramente, rimasi anche dubbiosa su un meccanismo che non mi sembrava né semplice né invitante. Temevo potesse essere snobbato, con un effetto boomerang e di chiusura di quel piccolo varco che vedevo aprirsi verso una nuova cultura del rapporto dello Stato con il suo immenso e inestimabile patrimonio storico-artistico.

Ebbene, i dati resi noti qualche giorno fa non solo smentiscono questo mio timore di allora, ma incoraggiano ad andare con grande decisione su una via che potrebbe rivelarsi pioniera anche per altri settori. L’Art Bonus supera infatti i 100 milioni di euro, e pone l’Italia all’avanguardia in Europa. La quale oggi, viste le difficoltà nel rinnovarsi e avendo perso gli inglesi che da questo punto di vista la strada l’avevano aperta nei decenni scorsi, potrebbe guardare anche per questo all’esempio italiano. In particolare, oltre 3.5 milioni dei 100.075.851 euro finora elargiti in favore di progetti di tutela del patrimonio culturale pubblico e in sostegno delle fondazioni liriche e delle realtà dello spettacolo sono frutto di donazioni di persone fisiche, oltre 45.1 milioni provengono da enti e fondazioni bancarie e circa 51.4 milioni provengono dalle imprese. A guidare la classifica delle regioni con le maggiori donazioni si trova la Lombardia, con quasi 33.3 milioni di euro, seguita da Veneto, Piemonte e Emilia-Romagna con rispettivamente 20.3, 15.8 e 11.1 milioni di euro. Seguono Toscana, Lazio e Liguria con 9.3, 4.7 e 2.2 milioni di euro mentre le restanti regioni raccolgono ciascuna meno di un milione di euro.

In tempi così difficili perché imperscrutabili, contrassegnati da un rollìo al timone che fa sbandare la barca europea e i governi nazionali, si tratta sicuramente di una indicazione da seguire. Perché alcune vecchie divisioni ideologiche oggi hanno forse meno senso che ieri, visto che spesso vi è molto più pubblico nel privato e privato nel pubblico di quanto vecchie rappresentazioni non volessero farci credere.

 

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