Che magnifico Paese, l’Italia. Pieno di acciacchi e vizi. Ma anche di grandi risorse ed energie. Sia nel settore privato, sia – e ciò è meno scontato – in quello della nostra troppo vituperata Pubblica Amministrazione. Di questa Pubblica Amministrazione fanno parte un grande numero di persone colte, impegnate e preparate. Che se facessero lo stesso lavoro in regime privatistico, lavorerebbero forse meno ma sicuramente meglio pagati.

Nel settore dei beni culturali ciò vale per valenti e talvolta quasi eroici soprintendenti e funzionari in prima linea, sia in missioni eccezionali come il recupero di opere dopo un terremoto, sia in missioni ordinarie come la tutela del nostro patrimonio storico-artistico o il suo restauro e valorizzazione. E vale, ne ho avuto l’ennesima dimostrazione oggi nella mia visita presso la loro sede in via Anicia a Roma, anche per i carabinieri del Nucleo di Tutela del Patrimonio culturale.

Qui un manipolo di uomini e donne in divisa lavorano oltre l’orario normale per difendere il nostro patrimonio storico-artistico e il nostro paesaggio. Dunque forse la cosa più preziosa che noi abbiamo, il deposito più intimo e prezioso della nostra identità nazionale.

Lo fanno in vari modi. Recuperando opere d’arte rubate nel “museo diffuso” che è l’Italia e poi trafugate all’estero, oppure occultate in siti privati che le escludono dalla fruizione collettiva. Monitorando i siti archeologici e il territorio. Partecipando alla task force “Unite4Heritage” che, su iniziativa dell’Italia, è stata costituita dall’Onu per la protezione dei beni culturali in zone di pre o post conflitto e che dovrebbe costituire il futuro nucleo dei “Caschi Blu della cultura” proposto dal ministro italiano della cultura Franceschini.

Questa attività operativa è concepita in sinergia, sia con altri reparti dell’Arma, sia all’interno del nucleo di tutela tra le varie azioni. Per questo i risultati sono eclatanti. Ciò ha permesso al Nucleo di Tutela del Patrimonio di recuperare 792.563 oggetti d’arte, di sequestrare 1.204.195 reperti archeologici e 315.403 beni falsi, di denunciare per reati connessi 35.790 persone e di arrestarne 1198. Un’attività che si avvale di metodologie innovative. Per esempio la costituzione della più imponente banca dati per immagini di opere rubate – più di 600mila pezzi – che fa quasi scomparire quelle di altri paesi molto avanzati, come per esempio la Francia. E per questo è consultata da polizie di tutto il mondo. Oppure l’elaborazione di una app che permette, facendo con un semplice smartphone una foto ad un’opera che si vuole acquistare ma di cui non si ha certezza sulla provenienza lecita, di sapere se è presente nella banca dati delle opere ricercate o meno. Una app, ci ha detto il Generale Parrulli, che è scaricabile liberamente e gratuitamente, e che sta avendo molto successo in specie tra compratori che non vogliano poi avere sorprese.

Spesso sui carabinieri si dicono barzellette. Non c’è nulla di male: l’Arma, essendo più che bicentenaria, è connaturata con la storia prima degli italiani e poi d’Italia e il Paese ha sempre saputo ridere di se stesso. Oggi però non è una barzelletta che vogliamo raccontare, bensì dire loro una semplice parola: “grazie”.