Data la grande risonanza che stanno avendo alcune mie dichiarazioni apparse in un’ampia intervista pubblicata sulle pagine di Panorama la settimana scorsa,  relativamente a un mio parere sul livello della cucina italiana mi preme precisare il mio pensiero in merito. Permettetemi però un’osservazione: prima di dar vita a una così accesa discussione,  avrei cercato innanzitutto di verificare l’aderenza e la veridicità di quanto riportato da un ‘intervista che, lo ripeto, è stata molto ampia e che ha trattato solo marginalmente e brevemente il mio rapporto con la cucina e la mia passione per lo stare a tavola.

Vorrei quindi avere l’occasione di meglio spiegare il mio pensiero su questo argomento: la cucina italiana  ha una cultura antica e assai variegata, che rappresenta una ricchezza di identità locali e regionali: perdere questa ricchezza è un peccato da non commettere. Innovare invece nel solco di questa tradizione è una strada che salva la nostra identità. Trovo, e ammetto che probabilmente è solo un mio giudizio in qualità di ottima forchetta, che la cucina di oggi qualche volta è troppo tesa ad una ricerca a effetto e perde di vista proprio quelle radici che hanno fatto della cucina italiana la più ricca e unica del mondo. Spero di non offendere nessuno con questo parere, ripeto, strettamente personale, ma confesso che, come forse la maggior parte degli italiani, tra quattro fagiolini che circondano un minuscolo pezzettino di carne e un piatto di pappardelle al sugo di lepre, preferisco la seconda opzione.

Proprio perché sono ben consapevole di quanto la cucina Italia è parte integrante della nostra cultura, ambasciatore in tutto il mondo della qualità di vita italiana, motivo di visita di milioni di turisti provenienti da tutti i paesi e valore da tutelare anche in vista di Expo 2015, che vede tra i temi chiave proprio quello dell’alimentazione, credo necessario da sempre progettare nuovi strumenti per tutelare e sviluppare questa nostra peculiarità, fonte non secondaria di lavoro e produzione di redditi.

Colgo quindi l’occasione di questa grande visibilità (non certo qualcosa che mi rende felice visto i termini fin qui usati) per  richiamare tutti i soggetti che sono scesi in campo, dagli chef al Ministro delle Politiche Agricole, ma non solo, da tutte le associazioni di categorie, alle scuole di preparazione, al mondo della ristorazione  per avviare un percorso comune di discussione che porterà agli Stati generali della Cucina Italiana, occasione di confronto che avrà come obiettivo quello di definire a tutti i livelli i passi necessari per far sì, a differenza di altri patrimoni che sono stati dilapidati, persi o distrutti dall’incuria e dalla superficialità della politica italiana di questi decenni,  che questa grande risorsa continui a brillare in Italia come nel mondo e, cosa non secondaria, continui a farci felice durante i nostri pasti.

Per questo accolgo volentieri l’invito del Ministro De Girolamo per un pranzo insieme nel corso del quale, oltre a gustare i piatti della più vera tradizione italiana, affrontare temi relativi a come collaborare per valorizzare ancora di più la nostra splendida e varia offerta culinaria regionale e nazionale, cosa che ritengo di primaria importanza, guardando anche quanto fatto in altri paesi a noi vicini come giustamente richiesto dai nostri stellati chef.