Dopo oltre 10 anni di crescita anno su anno, la spesa in cultura delle famiglie italiane è scesa nettamente al di sotto della media europea (8,9%), arrivando al 7,1% della spesa totale. E’ questo il primo dato che salta all’occhio consultando il Rapporto annuale di Federculture presentato stamattina a Roma e anticipato da un incoraggiante messaggio del Quirinale che ha sottolineato come siano ”improrogabili” le ”iniziative volte a far convergere sui settori della cultura e del turismo gli investimenti necessari per farne un volano strategico più che mai indispensabile per la crescita dell’economia e dell’occupazione”.

Tuttavia, il dato sulla spesa delle famiglie, unito ai molti altri indicatori forniti dal rapporto, hanno restituito uno stato di salute della cultura e del consumo di cultura nel nostro Paese piuttosto sconfortante:
l’Italia, il Paese che ha di fatto rappresentato e diffuso la cultura nel mondo per molti secoli, oggi vede i suoi cittadini  spendere in cultura meno dei cittadini di Cipro o dell’ Ungheria e assistere impotente alla perdita di 4 milioni di visitatori  (36 milioni contro i 40 milioni del 2011) ai siti culturali statali.

Ma si potrebbe andare avanti a lungo: meno di un italiano su tre ha visitato un museo nel 2012, contro quasi il 60% degli inglesi, e quasi una famiglia su 10 non ha nemmeno un libro in casa.

Come invertire questa tremenda rotta, ulteriormente aggravata dalla sempre più incombente e realistica minaccia della chiusura di molti siti culturali e archeologici?

Le chiavi sono principalmente due: migliorare l’educazione e la formazione sui beni culturali e artistici ma anche e soprattutto migliorare l’offerta culturale per cittadini e turisti. Lo si può fare sia investendo e rafforzando le imprese culturali virtuose, che nonostante il crollo dei contributi pubblici e una riduzione media dell’8% dei contributi privati hanno saputo conservare se non incrementare i propri fatturati e il proprio numero di dipendenti, grazie alla gestione manageriale delle imprese culturali e l’adozione di modelli di gestione pubblico-privato.

Solo adottando questa strada e dotando il Paese di una vera e propria visione culturale che non sia orientata solo al breve periodo e alla sopravvivenza ma a una strategia di tutela e valorizzazione dei nostri beni ed enti culturali sarà possibile invertire, non solo la rotta dell’occupazione e dell’apporto della cultura alla nostra economia, ma anche e soprattutto ridare slancio e identità al nostro Paese.

Leggi anche l’articolo su Repubblica.it