Dal 1947 a oggi sono passati tanti decenni ed è ovvio che per adeguare la legge fondamentale dello Stato, quella che regola la convivenza civile, il rapporto tra i poteri e che tutela la nostra democrazia, sia necessario senza timore e preconcetti provvedere a dei cambiamenti anche importanti.
Ma che cosa va salvato? Prima di tutto lo spirito dei padri costituenti, che era quello di dotare la nostra repubblica, appena uscita da una guerra drammatica, di un’ossatura che potesse durare. Il loro sguardo era rivolto all’interesse del Paese ed era uno sguardo lungo.
Questo va salvato, lo spirito con il quale si affronta il cambiamento della Costituzione, oggi come allora, non deve essere sottomesso a valutazioni elettorali, non deve rappresentare una riposta sbrigativa e veloce alle pulsioni anche populistiche che si sono diffuse.
Il pericolo di una scelta ispirata da questa ottica sarebbe immenso e ricadrebbe sulle generazioni future.
Sia la riscrittura del ruolo Senato, (per evitare un bicameralismo bloccato e inefficace), che la necessaria revisione dell’articolo V, figlio ricordo, di un accordo scellerato tra i partiti di tutto l’arco politico di allora, sono necessarie.
Trattandosi di riforme fondamentali per il funzionamento dello Stato vanno affrontate con un pensiero totalmente privo di preconcetti incluso, però, anche quello di voler fare questi argomenti oggetto di consenso immediato e pubblico.
Abbiamo già dovuto subire in questi anni il frutto di interventi affrettati ed elettorali perché oggi non se ne veda il pericolo.
L’unico pensiero che deve accompagnare le forze politiche nell’iter parlamentare che porterà alla modifica della nostra Costituzione è, e deve essere, volto all’interesse del Paese per un tempo lungo.
Come fecero i nostri padri costituenti dandoci una Costituzione che, seppur come è ovvio non è perfetta, ha garantito per 67 anni la nostra democrazia.
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