Leggo con una certa sorpresa di una polemica nata intorno ad una mostra dedicata a Picasso che vuole relegare il grande, sommo artista, ad un personaggio violento, misogino e manipolatore da rapidamente collocare in quell’olimpo sempre più frequentato di personalità della cultura dell’arte e della storia definite “politicamente scorrette”.

Bach non è uno dei massimi compositori di tutti i tempi, ma l’espressione di un maschilismo colpevole che relegava il ruolo femminile ad un ambito esclusivamente legato alla procreazione di molti figli e il proprio nella famiglia, a quello di un patriarca autoritario.

Otello, non solo ma Shakespeare in generale, devono ormai misurarsi con chi ritiene che il Moro di Venezia non debba, per esempio nel capolavoro di Verdi, essere interpretato da un cantante costretto a dipingersi il volto per apparire più scuro di quello che è, ma che se proprio l’opera va portata in scena nonostante l’evidente inclinazione al razzismo implicito nel suo testo, debba essere un tenore di pelle scura a esibirsi.

Che dire poi della recente polemica negli Stati Uniti intorno al Davide di Michelangelo e costato il licenziamento di un insegnante?

Gli esempi ormai si susseguono e per la maggior parte delle volte suscitano un ironico sorriso: il problema è in realtà molto più grave, direi gravissimo e può portare, se sottovalutato, alla distorsione completa della Storia e alla definitiva manipolazione della cultura occidentale.

Stiamo facendo quello che le dittature fanno per ragioni politiche: riscrivere il passato in modo strumentale per giustificare il presente. Il “politicamente corretto” è molto spesso uno schermo dietro il quale si nasconde la carenza di visione politica e l’incapacità delle classi dirigenti di assumersi responsabilità correndo il rischio dell’impopolarità per scelte utili alla collettività.
La cultura della cancellazione, così diffusa negli Stati Uniti, può portare alla cancellazione della cultura. Chi sia l’artista, il genio, il creatore, è stato argomento di dibattito da sempre e in particolare nel ‘900:

Thomas Mann a questo tema ha dedicato pagine indimenticabili. Che l’artista sia per definizione “innocente” perché “grande” è certamente un approccio meritevole di dibattito ma altrettanto pericoloso è affermare che l’artista non è più grande se nella furia creatrice della sua arte è caduto in spazi che oggi, con gli occhi del tempo che viviamo, sono privi di innocenza.

Che Winston Churchill fosse tendenzialmente portato a un certo razzismo e comunque un figlio estremamente evidente della propria classe sociale è una considerazione banale: ma volerne limitare la portata storica, scordarsi del celebre discorso che fece al Senato di Washington per convincere gli americani ad entrare in guerra e quindi salvare l’Europa da Hitler, sarebbe un errore di valutazione importante.

Da qui, quindi, una battaglia di civiltà: non cancelliamo la cultura, non sottostiamo alla logica del “politicamente corretto” per oscurare la nostra capacità di pensare e di dubitare e diamo invece un contributo non solo a salvare il meglio delle radici culturali della nostra civiltà ma a mettere cosi le basi per costruirne il futuro.