Alcuni paesi sono stretti da una morsa di calore assolutamente spaventosa che causa vittime, danni incalcolabili all’agricoltura, effetti imprevedibili sul futuro della vita di milioni di persone. Ovunque si levano appelli sulla necessità di adottare misure efficaci e i media fanno a gara nel pubblicare immagini di grafici e dati sempre più allarmanti. L’OMS invoca azioni concrete per la tutela della salute.

In questo quadro l’Italia è particolarmente esposta: circondata dal mare la cui temperatura crescente unita all’inquinamento sta provocando problemi serissimi all’ambiente marino, già funestata dagli incendi, con  risorse idriche carenti e già compromesse da una rete che ne disperde più di 1/3, poco attenta all’importanza della biodiversità, con infrastrutture spesso vecchie e non adatte ad affrontare gli estremi sussulti del clima, esposta al rischio di innalzamento delle acque.

Quali sono gli stimoli ad un’agricoltura del “territorio”, alla mobilità elettrica (bonus per l’acquisto di vetture elettriche ma mancano le stazioni di ricarica e i bandi vanno deserti), ad un’educazione alla consapevolezza sopratutto per i giovani, alla riduzione e persino azzeramento del consumo di suolo, alla conversione energetica verso fonti non inquinanti rispettando quindi gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea  per il 2030?

Oltre all’adesione di principio all’agenda 2023 dell’Onu e in particolare all’obiettivo 13, quali azioni mancano in Italia per poter dire che il cambiamento climatico sia tra le principali emergenze alla quale rivolgono l’attenzione sia la politica che l’azione delle istituzioni?

Sarebbe ingiusto affermare che l’Italia sia totalmente sorda all’emergenza climatica: non lo è. Non lo sono le istituzioni locali che in particolare ne subiscono le conseguenze, non lo sono i molti istituti di ricerca e universitari che analizzano i dati, non lo sono ormai molti cittadini e  le molte associazioni che operano in difesa dell’ambiente.

Non lo è anche se con alcune colpevoli timidezze, l’azione pubblica.
Manca però una vera strategia  ispirata ad una visione circolare che unisca la salute della persona, all’ambiente, al clima, al contesto in cui vive.

Manca l’idea di una ricerca di un nuovo equilibrio tra umani e natura che porti a declinare azioni mirate a livello nazionale ma anche individuale.

Non si tratta solo di contrastare l’aumento delle temperature, già obiettivo  determinante, ma di capovolgere un paradigma che ha visto l’azione umana come indiscutibile e prioritaria sulle esigenze della natura.

Usciamo da un secolo che ha premiato senza indugi la vittoria dell’uomo a discapito della natura come segno di progresso, di trionfo dell’ordine sul caos.

Adesso sarà imprescindibile cambiare visione e solo facendolo le azioni specifiche (ad esempio, con un nuovo impulso al verde pubblico nei contesti urbani) che devono essere adottate per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici avranno positive e durature ricadute nel tempo e incideranno sulla vita delle persone.