Edgar Morin ha dichiarato in una recente intervista a Repubblica di essere preoccupato per il destino della democrazia.

Uno degli intellettuali più illuminati tuttora viventi in Europa, figlio straordinario della cultura del ‘900, è stato capace di denunciare senza nessuna timidezza e con una semplicità quasi disarmante dall’alto dei suoi 102 anni portati con assoluta lucidità, quello che ci augureremmo fosse la preoccupazione di tutte le classi dirigenti dei paesi democratici.

La crisi della civiltà, secondo Morin, si evidenzia nella crisi della democrazia e nella radicalizzazione degli scontri. Tutto questo richiederebbe un ripensamento profondo ma immediato sulla politica, sul principio di rappresentanza e su come puntellare i sistemi democratici in un momento così difficile come ben si evince dagli ultimi eventi francesi.
Anche in Italia, aggiungo, la fatica dei corpi intermedi, la predominanza dei social network come strumento di espressione dei cittadini che non credono più nel voto, l’ormai svuotata funzione del Parlamento seppur siamo una Repubblica che in esso ha la sua espressione più compiuta in base alla Costituzione, la radicalizzazione dello scontro politico dovrebbero spingere ad una riflessione (e ad una riforma) che garantisse la salvaguardia dei fondamentali principi di una democrazia ed il suo più efficace funzionamento.

Nessuno invece sembra preoccuparsene. Finché, forse, un giorno sarà troppo tardi.