Ho avuto il privilegio di incontrare il Presidente Napolitano in più occasioni: si era interessato il tema della tutela del paesaggio italiano del quale avevo la delega come sottosegretario.

Quando uscì la riedizione del saggio di Thomas Mann “Moniti all’Europa” con una sua eccellente prefazione, gli scrissi una lunga lettera non solo ispirata dalla comune passione per lo scrittore tedesco ma perché ero molto colpita dallo spessore di quell’introduzione a un testo così importante anche per i tempi attuali. L’attenzione del Presidente Napolitano al monito accorato e spesso drammatico che i saggi di Thomas Mann avevano lanciato alla Germania e all’Europa mi ha fatto vedere quanto lui fosse un rappresentante unico per intelligenza, profondità, cultura di quella classe politica che prima dell’azione cerca di capire, che premette la conoscenza a qualunque scelta e tra le opzioni della propria azione non vi é il bisogno di compiacere nessuno ma di servire al meglio l’istituzione che si rappresenta.

Ecco la differenza fra politica e populismo: la politica alta si può permettere il difficile passaggio dell’impopolarità se la scelta fatta è nell’interesse del paese. Il populismo, in particolare quello che si nutre da una costante e nevrotica consultazione dei social, nasce dal puro desiderio di convogliare la protesta traducendola in una proposta politica a proprio vantaggio.

Forse il giudizio della storia sull’operato di Giorgio Napolitano rileverà anche degli errori ma quello che è assolutamente certo è che questi non saranno il frutto avvelenato di opportunismo o di visione a corto termine perché non era questo il modo nel quale concepiva la politica. E già questo basterebbe per rimpiangerlo e guardare all’attuale classe dirigente con molta e consapevole preoccupazione.