In questi giorni infuria il dibattito intorno ad alcune nomine del Ministero della cultura volute, secondo le stesse parole del ministro Sangiuliano, per riportare equilibrio nella gestione delle istituzioni culturali del nostro Paese, la cui conduzione – sempre secondo il Ministro – era fortemente sbilanciata verso un pensiero di sinistra. Ritengo assolutamente legittimo, perché questo avviene anche in altri Paesi e la Francia ne è un esempio molto significativo, che un nuovo governo, di segno diverso dai precedenti, dia la propria impronta anche alla cultura.

Tuttavia mi sembra che in questo dibattito, più acceso intorno alle persone che alla loro competenza, manchi qualche considerazione. Cultura significa anche riferirsi alla manutenzione e alla valorizzazione dell’immenso patrimonio italiano che non ha facili paragoni in nessun altro Paese: significa, per fare alcuni esempi, diffondere e applicare la “cultura del paesaggio” come contesto del nostro patrimonio storico, artistico e archeologico, oppure significa togliere dall’oscurità alcuni ambiti culturali così importanti nella storia della cultura italiana ma colpevolmente trascurati fin dalla scuola, come la musica.

I fondi pubblici sono in buona parte destinati alla custodia del patrimonio pubblico materiale e immateriale, a renderlo sempre più fruibile e conosciuto facendo crescere negli italiani, soprattutto nei più giovani, la consapevolezza delle proprie radici e quella di vivere in un Paese unico nel quale l’incontro con l’arte, la bellezza e la storia possano rappresentare un’occasione di crescita, di consolazione, di contenimento del disagio sociale e di rafforzamento di quel senso di comunità che oggi sembra appassito.

Tutelare il paesaggio, promuoverlo rispettandone il linguaggio, anche a fini turistici, gestire l’assegnazione dei fondi pubblici destinati alle arti visive e allo spettacolo e al talento, avendo sempre ben presente che il fine ultimo è quello di ampliare la conoscenza, di aprire gli sguardi, non solo di creare consenso politico con obbiettivi di destra o di sinistra. Questa dovrebbe essere la funzione primaria del sostegno pubblico. l’Italia è anzitutto cultura, anche se i fondi del bilancio statale destinati a questo settore, da decenni, sono molto inferiori a quanto avviene in altri Paesi europei.

La cultura in Italia occupa centinaia di migliaia di persone e con essa possiamo sperare di contrastare la barbarie di un’epoca ormai sensibile solo alle sollecitazioni dei social non mediati da alcun pensiero critico. Quindi, se il dibattito si ferma al giudizio su nomine il cui orientamento politico è evidente, si perde di vista il cuore del problema: quale è il ruolo del sostegno pubblico alla cultura? Se risponde a criteri di tutela oltre che di valorizzazione di tutto il patrimonio culturale italiano ci renderemo conto ben presto che il giudizio, o la critica, non sono da destinare – oggi come nel futuro – al colore politico di chi governa le istituzioni culturali, ma all’azione delle stesse, che non dovrebbe rispondere a una logica di parte ma a un compito più alto e indicato nella Costituzione.

La gestione di un museo o il sostegno alle attività culturali non diventino solo occasioni per definire quale debba essere il colore della cultura ma per promuoverla nel modo più corretto, ampio e trasparente. E su questo, sul merito, sull’efficacia dell’azione pubblica, sulle scelte che essa compie si dovranno esprimere i cittadini più attenti, ricordando però che la custodia del patrimonio culturale deve anche essere collettiva e quindi spetta a ciascuno di noi.

Ilaria Borletti Buitoni
Presidente Società del Quartetto di Milano
Vicepresidente FAI – Fondo Ambiente Italiano

Pubblicata su “Il Foglio” il 24 gennaio 2024
Nell’immagine di copertina uno scorcio del teatro Argentina di Roma