Mancano pochi giorni alle elezioni tedesche, a cui tutti guardiamo con preoccupazione e speranza: il monito di Mario Draghi, un appello quasi accorato, incita gli europei a uscire dalla logica dei no e a trovare finalmente dei comuni filoni di azione, dagli investimenti per rendere l’Europa più competitiva alla difesa.

Vengo da una generazione, nata nel boom degli anni 50, che ha sempre dato per scontata una forte casa europea. Il primo brusco risveglio lo abbiamo avuto con la Brexit: la Gran Bretagna, fondamentale Paese per definire quell’Europa geografica che oggi è chiamata in causa dall’aggressività della Russia, ha voluto lasciare la comunità e tornare padrona delle proprie scelte: una decisione che si è dimostrata sbagliata e che è costata all’economia britannica non pochi punti del proprio prodotto nazionale e una crisi tangibile. Ma ormai la Brexit è passata e tutti abbiamo dovuto renderci conto che il sogno di un’Europa unita, garanzia di una crescita che pareva inarrestabile e di una stabilità politica che ha curato le ferite dopo l’ultima guerra mondiale, non era più realizzabile. L’irruzione sulla scena politica di Trump non ha fatto che svelare, in maniera brutale, le crisi profonde del vecchio continente e rischia di farlo deflagrare.

L’attacco del Presidente americano all’Ucraina, basato su un racconto completamente falso che vede Zelensky responsabile di un conflitto nato in realtà da un’azione militare russa, ottiene lo scopo di mettere a nudo le contraddizioni, la fragilità e la mancanza di strategia dei leader europei. Siamo tutti smarriti, ma non dobbiamo sentirci vinti, altrimenti lo diventeremo: siamo al terzo posto tra le economie mondiali e ancora l’Europa è portatrice di valori per cui i migranti l’hanno eletta come luogo di arrivo dei loro disperati viaggi; abbiamo i cervelli, la tecnologia, le università, la forza economica, la cultura e soprattutto abbiamo dei principi fondanti delle nostre società, anche se indeboliti da spinte estremiste, intorno ai quali possiamo ritrovare la strategia per rafforzare l’unione e fermarne il declino.

Cina e Russia sono Paesi che hanno accantonato qualunque percorso democratico, gli Stati Uniti sono travolti dal ciclone di una nuova presidenza che parla del mondo come se fosse un gioco di Monopoli, deciso a tavolino dal proprio leader. In una commedia Shakespeariana che si trasforma in tragedia le parole tra follia e realtà monopolizzano un’opinione pubblica scossa e lacerata.

In tutto questo c’è un ruolo per l’Europa? Sì, c’è forse proprio per questo e più che mai necessario. Dobbiamo tornare a crederci a sentirci europei non cedendo alle sirene dei nazionalismi e combattere questa guerra, per adesso solo politica e mediatica, ma non per questo meno insidiosa.